Dicono che avesse il dono di vedere, in un dato tempo, più particolari circostanti di chiunque altro, e che questa dote lo aiutasse non poco a visualizzare meglio la pista e gli avversari davanti a sè. Solo che lui di avversari davanti praticamente non ne aveva: da qualunque posizione partisse al “Via”, iniziava il secondo Giro regolarmente in testa al Gruppo. Faceva davvero impressione, poi, quella sua aria elegantissima e serena anche alla fine di un Gran Premio tiratissimo, a confronto dei suoi avversari diretti che quasi rantolavano per la fatica. Così come il suo sorriso da alunno perfetto, impeccabile, con la camicia sempre perfettamente stirata in ogni occasione.
Il Mito americano e “Fast Freddie”
Freddie Spencer, dalla Louisiana, detto “Fast Freddie” fin dall’epoca delle corse in America di “Short Track” dove da bambino di 9 anni già si cimentava affrontando gli ovali di terra battuta di traverso su una “Honda 500″, a prima vista sembrava l’ennesimo prodotto del nuovissimo vivaio americano, battezzato da Kenny Roberts. Ma in verità Freddie Spencer era molto di più e molto diverso dal modello di “Pilota CowBoy” in voga in quel periodo.
Arrivò in Europa nel 1979, a 18 anni. Nel 1981 passò alla HONDA
che però, impelagata nella rivoluzionaria NR 500 a 4T contro tutte le altre rivali a 2 tempi premiava certo la voglia di distinguersi della Casa Nipponica, ma anche l’esigenza di poter sommare diverse esperienze su settori eterogenei (moto ed auto) al fine di preparare al meglio il futuro previsto ritorno della Honda in F1. Freddie insieme al Collaudatore ufficiale, Katayama, offrì il suo talento indiscusso e la sua sensibilità di guida e si sacrificò come Collaudatore verso una moto troppo complicata per vincere. Torno’ protagonista alla fine del 1981, quando HONDA fece scendere in Pista la semplice ed efficace tricilindrica NS 500 con cui Freddie si piazzò al terzo posto iridato, primo dello squadrone Honda ma soprattutto davanti al Campione del Mondo uscente Marco Lucchinelli. Pur con un ruolino di marcia così convincente nessuno pensava davvero però che nel 1983 il “pulcino” Freddie potesse avere ragione di un mostro sacro come Kenny Roberts, detto il Marziano appunto perchè scendendo dagli USA in Europa con la Yamaha aveva di fatto “battezzato” l’era dei fantascientifici Yankees a partire dal 1977.
Il “Pupo” e il Marziano
Invece quel Motomondiale 1983, il primo vinto da Freddie, fu una questione a due tra lui e Roberts : su 12 gare, 6 furono aggiudicate dal “pupo” della Louisiana, e 6 dal Kenny il Marziano. 3 secondi Posti ed un ritiro ciascuno, ma a Freddie bastò un solo terzo posto in più rispetto al suo avversario per superarlo di due punti. Teatro indimenticabile della sfida all’ultimo sangue fu il gran Premio di San Marino. Kenny diede (come si dice in gergo) il fritto e guidò la corsa come un addannato. La prima guida della yamaha sperava in verità nel guizzo del suo “giovane” secondo, un certo Eddy Lawson. Che però non riuscì’ a togliere a Spencer nè il secondo posto nè il Titolo.
Per chi ricorda il Podio di quel Gran Premio, probabilmente in quel palcoscenico si vide per la prima ed ultima volta una espressione “umana” di vero dispiacere e disappunto verso Eddy Lawson, da parte di King Kenny Roberts, di solito glaciale e serrato come pochi altri esseri umani……
Agli altri solo le briciole, se pensate che tra primo e secondo in Campionato passarono due soli punti e tra il secondo e il terzo addirittura 53 !!!!!!!!
NSR Quattro. Troppo sperimentale, troppo vincente.
Quando il 1984 partì, dato il ritiro di Roberts e la momentanea “nebbia” dei concorrenti diretti (Lucchinelli in Cagiva, Uncini e Barry Sheene sulle Suzuki ormai poco competitive), si pensò subito che il Mondiale sarebbe stato di nuovo corsa a due, ma stavolta spalla a spalla Spencer / Lawson e Honda / Yamaha.
Putroppo per Freddie la Honda tornò al suo vecchio “pallino” di sperimentatrice e presentò la NSR 4 cilindri con alcune soluzioni rivoluzionarie (scarichi dentro la carenatura del serbatoio e serbatoio sotto il motore, ad esempio) e così, pur vincendo più Gran Premi di tutti gli altri, Spencer rimase fermo al quarto posto finale per un numero spropositato di mancate partenze, lasciando il Titolo a Lawson.
Quella NSR croce del 1984 diventa però la delizia del 1985, dove Spencer decide anche di tentare una sfida impossibile : correre contemporaneamente per vincere la Categoria 500 e quella 250.
L’ultimo Campione plurimo della Classe Regina : 500 e 250.
Con la diffidenza e lo sbigottimento di tutti (perchè in pochi credevano davvero che fosse possibile per tre giorni consecutivi, nei Week End di gara, effettuare le prove di due Categorie, e poi la Domenica scendere dalla 250 e salire in Griglia di partenza nella mezzo litro. In particolare, caratteristica poco nota ai più, un ex promessa del Basket (si,avete capito bene: il nostro Freddie è un lungagnone per i canoni da fantino delle Gare di moto) che già faticava a stare in sella ad una 500, come avrebbe gareggiato su una moto molto più contenuta e leggera?
Tuttavia il 1985 passerà alla storia per essere l’ultimo di un Campione della Classe Regina in grado di vincere il Titolo in un’altra Classe. Spencer ottiene un ruolino di marcia impressionante: su 12 gare ne vince 7 in ogni Classe. Un trionfo. Inarrivabile da chiunque altro, perchè la fatica di guidare le due Classi più impegnative e prestigiose del Motomondiale poteva essere affrontata solo da un Superman in tuta (di pelle). E per non lasciare nulla di intentato, stravinse la 200 Miglia di Daytona dell’epoca.
Freddie alla 200 Miglia di Daytona 1985. Copyright : Daytona International Speedway
Fast Freddie, il nuovo Varzi?
Dall’inizio degli anni Settanta la Classe Regina non aveva più espresso il cosidetto “Campione seriale”: dopo il nostro “Mino” Agostini che aveva vinto sette volte di fila tra il 1966 ed il 1972 il Mondiale fino al 1985 aveva assegnato 13 Titoli suddivisi però tra ben 8 Piloti, tra i quali appunto lo stesso Freddie. Adesso era lui, a soli 25 anni e da prima guida del Marchio più vincente del mondo, a lasciare prevedere la dimensione “seriale” più lunga che si potesse ottenere in quel periodo. E dunque nessuno poteva immaginare il cataclisma che avvenne dall’inizio del 1986. Sembrava impossibile, ma la macchina da guerra sembrava essersi rotta. Non solo per le ipotesi (rimaste tali) di problemi fisici che in fondo ci possono stare : tendiniti, problemi di vista e qualcuno dice di equilibrio. Ma no, il problema era che dentro Freddie non era più lui. E a differenza di altri campioni leggendari come lui (anche in altre Categorie motoristiche) che si ritirarono all’improvviso ma con una motivazione di fondo (Lauda, ad esempio, ma anche lo stesso Roberts) per Freddie non sembrava esserci un motivo : la sua squadra era vincente, il suo pubblico era innamoratissimo. Alcuni parlano di una sindrome psicologica dovuta alla tensione ed allo sfibramento pagato l’anno prima correndo in due categorie. Fatto sta che dal 1986 Freddie non è più “Fast”. Nel 1987 / 1988 le stagioni con la Honda sono fallimentari, e il rapporto si chiude. Nel 1989, visibilmente appesantito e annebbiato, approda alla Yamaha proprio diretta da Agostini. Ma non è più il “suo” mondo. Le “satellitari” partecipazioni successive nei Mondiali 500 e Superbike è inutile addirittura menzionarli. Nella mia memoria, data la repentina caduta e il mistero, Freddie mi ha ricordato Varzi. Ovviamente con cause di gran lunga differenti. Ma per gli effetti me lo ha ricordato. Tutti e due nella loro consacrazione eleganti, diversi dagli altri, impeccabili e spesso “algidi”. Tutti e due, nel crollo, completamente irriconoscibili, annebbiati, e terribilmente soli.
Io ho un ricordo bellissimo di Freddie. Come Lauda, lui rimarra’ per sempre il “mio” campione. Anche se, in proporzione all’Albo d’Oro, ha vinto molto poco. Ma per chi lo ha vissuto in diretta è stato allo stesso tempo innovatore, dissacratore, e profeta di qualcosa che altri seguirono dopo di lui. A suo modo ha segnato un’epoca e ha fatto storia.
Dopo averlo visto a lungo in Tv, da adolescente, ho avuto la fortuna di abbracciarlo per la prima volta a Roma, la scorsa primavera. Vi assicuro che è stata una emozione.
Riccardo Bellumori
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